Segnalazioni

Atto Aziendale Asugi, i sindacati: "Fondamentale rafforzare l'organico"

La UIL e la UIL FPL, categoria che rappresenta la sanità, ritengono opportuno esprimere alcuni chiarimenti e precisazioni in merito alla questione della petizione sollevata dai sindacati dei pensionati per una salvaguardia della sanità pubblica; pur condividendo il lodevole intento rivolto a tutelare un bene primario quale la salute e comprendendo il timore di chi sente sulla propria pelle più di altri ,rappresentando in larga parte la popolazione anziana quindi più fragile e più bisognosa di servizi, non possiamo astenerci dal sottolineare in qualità di UIL e UIL FPL come si ripeta ancora una volta il proverbio del dito e della luna, dove la luna è la nuova organizzazione della sanità territoriale e il dito la riduzione o scomparsa di due primariati territoriali. Semplificazioni non servono perché la sanità e la salute sono materia complessa che richiede conoscenza e non riproposizione di schemi ideologici. L’organizzazione attuale vede 4 distretti, in area giuliana, organizzati in forma dipartimentale, quindi 4 dipartimenti articolati al loro interno in strutture complesse, una per ogni funzione assistenziale ( area adulti, anziani, disabilità, ex consultori , ecc.).
Questo fa sì che ogni distretto costituisca una piccola azienda che ha autonomia nelle scelte organizzative e assistenziali. In tal modo si determinano disomogeneità e disparità di cure a cittadini che risiedono nel medesimo territorio e uno spreco di risorse a fronte di servizi che non riescono a dare risposte perchè scarse rispetto ad un’organizzazione ipertrofica, con professionisti che spesso lavorano da soli senza un confronto e condivisone professionale nel percorso di cura.

Con la nuova organizzazione il percorso di cura sarà definito all’interno di un team multiprofessionale che sarà in grado di attivare tutte le altre funzioni distrettuali organizzate in strutture complesse (disabilità, anziani, cure palliative, ecc.) funzioni che saranno uniche per tutto il territorio giuliano, come lo sono per il territorio isontino. In questo modo non si smonta l’assistenza sul territorio ma la si potenzia in termini di uniformità ed equità dei trattamenti sanitari e continuità delle cure evitando la frammentazione a livello di ogni singolo distretto. Affermare inoltre che si ridurranno i servizi di prossimità non è vero, i cittadini continueranno a trovare i servizi là dove già oggi li trovano, anzi, si potranno rivolgere anche là dove oggi non possono farlo, perché considerato “extraterritoriale” rispetto all’ afferenza della loro residenza.

Le risposte ai bisogni salute si trovano nell’articolazione dei servizi sul territorio non nel numero di distretti. Crediamo e speriamo che sia a tutti chiaro che il venir meno di due posizioni apicali non determini una soppressione dei servizi La questione fondamentale è un’altra, ovvero si perdura nel confondere e disorientare i cittadini continuando a fargli credere che le "strutture organizzative" descritte nell'atto aziendale siano i "luoghi di cura", i "percorsi assistenziali " in una parola i "servizi " che sono oggetto di successivi atti di organizzazione e saranno continuamente oggetto di riorganizzazione senza l’assurdità di dover continuamente modificare l'Atto aziendale prevedendo tutto nello stesso. E’ questo mito che fa cadere in errore chi agisce a fine di bene come i proponenti la petizione, perché dimezzare le strutture non significa ridurre o peggio dimezzare i servizi offerti alla popolazione, ma ribadendo quanto già espresso ridurre fortemente le variabili che generano disequità, la dispersione decisionale, e la filiera di comando, pur nel rispetto del ruolo dei direttori di struttura, al fine di armonizzare i percorsi, le modalità operative a favore dei reali proprietari del SSN, ovvero il cittadino-utente.

Per quanto riguarda il numero di abitanti per distretto facciamo riferimento a quanto accade nelle altre regioni d’Italia ad es. in Emilia Romagna, da tutti citata come esempio virtuoso di organizzazione sanitaria territoriale. A Bologna, con una popolazione di 870.000 abitanti, con oltre il 23% di over 65 e l’8% di ultraottantenni, ci sono sei distretti sanitari, un unico distretto della salute mentale e delle dipendenze con quattro centri di salute mentale qualificati come strutture complesse e un centro di diagnosi cura. Il distretto cittadino di Bologna ha circa 390.000 abitanti, per non andare troppo lontano, il distretto sanitario di Udine ha più di 160.000 abitanti. Prevedere un distretto di 145.000 abitanti non è la fine del mondo, anzi il confronto fra il numero di distretti in area isontina e area giuliana e la presunta disparità nel numero di abitanti per distretto è un parametro sbagliato come testimoniano le esperienze di grossi distretti in tutta Italia. I parametri sono altri: superficie maggiore, minor densità abitativa e più Comuni, perché non è certo il numero di residenti il primo parametro che definisce un’organizzazione o il numero di strutture necessarie e sufficienti a garantire tale organizzazione.

A Trieste il distretto, più popoloso di circa 145.000, comunque di molto inferiore al massimo di 200.000 abitanti è concentrato in una area molto piccola e si rapporta con un solo Ambito e un solo Comune. Meno che in altre realtà metropolitane e cittadine. Infine il nuovo Atto Aziendale conterrà i nuovi modelli previsti dal PNRR ( COT, Case di comunità, Ospedali di comunità,ect ); Il timore che non siano presenti è solo una ulteriore arma di distrazione di massa: oltre infatti ad essere previsti dalla DGR 1446, i nuovi modelli del PNRR sono previstI da un documento di Agenas, noto come DM 71 che ben dettaglia le funzioni distrettuali, tra cui quelle delle Case di Comunità, con cui certamente i Distretti non coincidono (ma che i Distretti conterranno al loro interno, al pari degli altri servizi come ADI, Ospedali di Comunità, centrale territoriale operativa, Usca,ect). Caduto il muro di Berlino nel 1989, eliminato il muro della Transalpina a Gorizia, a Trieste, un muro tanto invisibile quanto difficile da abbattere verrà finalmente a cadere: è quello che corre nella centralissima via Francesco Crispi, alle spalle del Politeama Rossetti.

Negli ultimi decenni e fino ad oggi, abitare al numero civico 64, 65 o 66 di via Crispi significa “appartenere” a tre diversi distretti. Per verificarlo basta consultare il motore di ricerca dal sito aziendale. Chi abita al numero 64 dovrebbe rivolgersi al Distretto 2 (sede ospedale Maggiore), chi risiede al numero 65 al Distretto 4 (via Sai1- parco San Giovanni) e chi sta al numero 66 al Distretto 1( via Stok a Roiano); “dovrebbe” il condizionale è d’obbligo perché gli ideatori e sostenitori della suddivisione vi diranno di no, che ogni cittadino è libero di rivolgersi ove gli è più comodo. Tranne che per la presa in carico per attivare i servizi territoriali domiciliari o residenziali, che dovendo intervenire attraverso equipe, non possono che prevedere un’ organizzazione rigida distribuita come sopra riportato. Così con questa logica gli stessi servizi rispondono ad un direttore e per continuità rispondono a quella “zona” che prevede un seguito, una continuità di assistenza ambulatoriale e/o domiciliare.

E’ ovvio che questo vale anche se il problema riguarda cure da seguire al CSM,per fare un esempio, lo sfortunato residente del civico n° 66 di via Crispi dovrà rivolgersi al Csm di Barcola senza avere nessuna possibilità di rivolgersi altrove. Così, con questa logica, anche i servizi delle dipendenze, perderanno esclusivamente un primariato e nulla verrà tolto ai cittadini anzi, la continuità assistenziale contribuirà ad armonizzare e migliorare la qualità dei servizi resi. Il reale problema sarà come organizzare e far funzionare il Distretto, ovvero una struttura che deve oltre a quanto ricordato anche perseguire la famosa integrazione tra le diverse strutture sanitarie, sociosanitarie, nonché dei servizi socioassistenziali in un’ottica di collaborazione con le istituzioni locali presenti sul territorio in modo da assicurare finalmente una risposta coordinata e continua ai bisogni della popolazione, governando anche il complesso mondo della medicina Generale e dei pediatri di base. Con quali risorse umane? Infatti se da un lato lo Stato ha riconosciuto oltre 148 milioni di euro per il potenziamento della sanità, anche territoriale, risorse per soli investimenti in strutture e beni, la Luna indicata dal dito, ovvero il territorio, avrà bisogno di risorse umane, sia sanitarie che non sanitarie con le competenze necessarie per gestire un’articolazione così complessa. E quindi qui entra in gioco il ruolo delle organizzazione sindacali, ovvero il dimensionamento del fabbisogno di personale necessario, il suo reclutamento e la sua adeguata retribuzione per non dimenticarci troppo presto di coloro che nei periodi peggiori della pandemia la nazione ha chiamato “angeli”.

Continuare a rafforzare “l’organico” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è perciò fondamentale, come pure riconoscere con i fatti il giusto valore del personale del SSN, che in questi mesi ha dedicato la vita per curare e assistere ogni persona del nostro Paese e forse per questo è opportuno lanciare una petizione!