Cronaca

Un "Faust" in salsa death-metal dalla Slovenia al Rossetti (FOTO)

Il dramma che ha attraversato i secoli e le arti, nel graffiante allestimento di Tomaž Pandur in collaborazione con il Teatro stabile sloveno

Se è vero che ogni uomo è solo, di certo il demonio non lo è. Il male è sempre declinato al plurale,sembra dirci il regista sloveno Tomaž Pandur nel suo allestimento del Faust, e a fronte di un Dio uno e trino (che comunque non si fa vedere), il diavolo è uno e altri otto: una famigliola incestuosa, un capo di gabinetto paraplegico e quattro consiglieri-aiutanti seminudi.
Un’estetica (soprattutto i costumi di Felype de Lima) che ricorda l’universo industrial-metal ma che ha ormai contagiato buona parte del pop-rock.

Come nel dramma medievale originale Faust è un uomo di scienza, ma la scienza a nulla è servita. L’inquietudine e l’inutilità non si cancellano e il senso ultimo sfugge. Sullo sfondo si animano simboli religiosi e alchemici (una curatissima produzione del video designer Dorijan Kolundzija), ma il pronto intervento del demonio con una squadra di imbianchini spazza via tutte le conoscenze dell’uomo. Che ovviamente vende l’anima a caro prezzo.
Sul palco c’è dell’acqua, schizzi e secchiate sulle monumentali scene di Sven Jonke (alias Numen), acqua che proietta barbagli di luce sul soffitto e che siamo abituati a conoscere quale elemento di vita. Eppure, sarà in quell’acqua che la protagonista Margarethe annegherà il figlio neonato di Faust.

Solo una delle soluzioni d’effetto di questo Faust, realizzato dal Teatro nazionale Drama di Lubiana e da Lubiana Festival, portato al politeama Rossetti in una collaborazione con il Teatro stabile sloveno, in lingua originale sottotitolata. Il testo originale di Goethe è stato liberamente riadattato da Livija Pandur, sorella del pluripremiato regista Tomaž Pandur, scomparso prematuramente un anno fa. Un testo in cui i personaggi si permettono di uscire dal personaggio e monologare in “outploting” analizzando la situazione con linguaggio psicanalitico. Oppure di prendersi una pausa per sedersi e guardare qualche scena del Faust di Murnau, ammirando sè stessi all’interno del film muto. Notevole anche la colonna sonora dark-ambient, composta per l’occasione dal duo Silence (Boris Benko e Primož Hladnik).

Tra gli interpreti spiccano Igor Samobor nel ruolo principale, famoso in patria e non solo, una straziante Polona Juh nel ruolo di Margherita (prima sgraziata, poi appassionata, e infine pazza pur rimanendo lo stesso convincente personaggio). Intenso, infine, il Valentino di Branko Jordan.

Quella di mercoledì 5 aprile è stata una rappresentazione unica e affollata per una produzione sconosciuta in Italia, uno spettacolo a tratti dispersivo e con un sovraccarico di suggestioni, ma che non ha annoiato e ha offerto momenti taglienti, come la desolata lezione che il protagonista cerca di impartirci alla fine:  “Non ho fatto che rincorrere il mondo, ogni piacere ho lasciato scappare, ogni piacere mi è venuto a noia. Lascia stare ciò che non è terreno, se camminando incontri gli spiriti stai nella tua strada, salutali e vai avanti, resta nel mondo che puoi vedere”. Una lezione sull’importanza del qui e ora che si avvicina più agli insegnamenti della filosofia orientale che alla cosmologia cristiana. Il protagonista la scopre troppo tardi, e mentre cerca di avvertirci, sembra sapere che non ci riuscirà. Eppure è l’unico momento in cui lo si vede calmo, dopo due ore di strepiti e virtuosismi.

Un’altra lezione la possiamo imparare dalla Slovenia: è possibile riempire le platee senza rinunciare alla qualità, anche con gli effetti speciali e strizzando l’occhio ai giovani. Soprattutto, senza aver troppo terrore di rivisitare i classici con gli occhi del nostro tempo. Senza voler fare paragoni, Marlowe, Goethe, Gounod e Murnau non hanno avuto paura di farlo, e senza il coraggio non si svuotano soltanto le platee, ma l’arte tutta è destinata a morire.


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